First Man – Il primo uomo: Chazelle ci porta sulla Luna tra ossessioni spaziali e ombre personali

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Era il 20 luglio 1969 quando l’uomo poggiava per la prima volta piede sul satellite da sempre ispiratore, la Luna. Un evento epocale – apice di una combattuta corsa allo spazio disputata tra URSS e Stati Uniti – capace di incollare circa 900 milioni di persone allo schermo per assistere a quel primo allunaggio di un essere umano, che si sarebbe poi ripetuto solo altre 12 volte. Allunaggio accompagnato dalla celebre frase «That’s one small step for (a) man, one giant leap for mankind» («Questo è un piccolo passo per (un) uomo, un gigantesco balzo per l’umanità») pronunciata dal comandante della missione spaziale Apollo 11 Neil Armstrong, che entrava da quel momento dritto nella Storia.

Quasi 50 anni dopo, il cinema si è prodigato finalmente per dare all’evento e a quel “primo uomo che ha posato piede sulla Luna” la giusta attenzione con il film biografico First Man – Il primo uomo, sceneggiato da Josh Singer (che ha adattato la biografia ufficiale First Man – Il primo uomo scritta da James R. Hansen edita in Italia da Rizzoli) e diretto da Damien Chazelle, a una nuova attesa prova registica dopo i colpi di fulmine Whiplash e La La Land.

Partire per infine tornare

una scena di First Man - Il primo uomo

Presentata al 75° Festival di Venezia, la storia trasposta su grande schermo ripercorre gli eventi che in dieci anni portarono al successo della missione Apollo 11 con relativo allunaggio, focalizzandosi sulla figura di Neil Armstrong (Ryan Gosling) nelle vesti di astronauta e di padre di famiglia. Armstrong comincia infatti a sognare seriamente la Luna a seguito della perdita della figlioletta Karen, finendo per concentrarsi in maniera assoluta sulla missione a scapito della moglie Janet (Claire Foy) e degli altri due figli.

Più vicino alle ossessioni di Whiplash che alla colorata vitalità sognante di La La Land, First Man racconta di un uomo costantemente con la mente sulla Luna, che ha bisogno di raggiungerla per infine tornare – fisicamente e spiritualmente – sulla Terra. Nonostante si parli di spazio, di mete lontane e avventurose, di sogni larger than life, Damien Chazelle gira un film che nella sua forma va da tutt’altra parte. Primi e primissimi piani e una macchina da presa incalzante costringono lo sguardo a una visuale “ristretta” e a focalizzare l’attenzione sulle ombre esistenziali del protagonista, più che sulla grandezza ed epicità dell’ambiziosissima impresa.

Due ruoli da nomination

Ryan Gosling in First Man - Il primo uomo

Adottando una convincente recitazione introspettiva che si apre talvolta a squarci di incontenibile dolore, Ryan Gosling ci mostra un Neil Armstrong chiuso nelle proprie ossessioni lunari allo scopo di allontanare quella sofferenza così umana e terrena che gli toglie il respiro. Un’ossessione scientifica dunque che coltiva fino all’eccesso, non solo per amore di uno dei grandi sogni dell’umanità, ma anche e più del resto per sfuggire a se stesso.

Un comportamento che porta sì alla riuscita della missione spaziale, ma le cui conseguenze a livello umano sono poi rintracciabili negli occhi dei figli e soprattutto della moglie Janet, una Claire Foy intensissima a cui basta uno sguardo per rendere la forza di una donna che per amore e comprensione accetta che il marito si perda nel suo sogno, forse per sempre.

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L’impresa epica di un uomo straordinario

una scena di First Man - Il primo uomo

Nonostante l’approccio intimo (ma non svenevolmente sentimentale) che sceglie di adottare, Chazelle tuttavia non dimentica che la storia di First Man è anche la storia di una missione pericolosa e avvincente. Una di quelle in grado di provocare ansia e batticuore anche a chi non la visse in prima persona in quanto, nonostante la bandiera a stelle e strisce, conquista dell’umanità intera.

Ed ecco allora che, aprendo quel portellone che separa il terreno dal lunare, Chazelle ci regala un momento magico e da brividi di puro Cinema. Silenzio, respiri mozzati, una visione irripetibile che finalmente allarga lo sguardo e spazia – letteralmente. Il tutto accompagnato dall’esplosione definitiva della magnifica, ammaliante colonna sonora firmata da Justin Hurwitz, che in un’ipnosi musicale riesce a rendere in note l’idea dell’ossessione e del movimento orbitale, portatrice di attesa e desiderio di scoperta.

Laddove la fantascienza spaziale immagina mondi inesplorati spesso popolati da creature terrificanti, Chazelle ci porta indietro nel tempo ricordandoci che non sempre serve fantasticare, perché l’uomo di imprese straordinarie nello spazio ne ha compiute per davvero. Di quanto quella che ora ci appare come una missione “scontata”, tale non fu affatto. E di quanto il tutto fu condito sì da studi scientifici ma anche da una buona dose di follia. Non resta che salire anche noi su quella navicella e volare dritti fino alla Luna, dove abbandonare i propri fantasmi per abbracciare il mondo e la vita da una diversa prospettiva.

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Giorgia Lo Iacono

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