Aladdin: il trionfo dell’animazione nel Classico Disney del 1992
Dato il via all’era del cosiddetto “Rinascimento Disney”, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 ai registi John Musker e Ron Clements si pose un interrogativo: a quale progetto dedicarsi dopo il successo ottenuto con La Sirenetta? Tra i tre che vennero loro offerti (tra cui quello che sarebbe poi divenuto Il Re Leone) vinse alla fine un adattamento musicale animato del racconto persiano di Aladino e la lampada meravigliosa, contenuto nella raccolta di novelle orientali Le mille e una notte. Bocciatagli la prima bozza di sceneggiatura dall’allora presidente degli studios Jeffrey Katzenberg e attuati a quel punto alcuni importanti cambiamenti (il protagonista fu ad esempio reso orfano e più grande di età), come risultato nel 1992 venne fuori il 31° Classico Disney che oggi ben conosciamo: Aladdin.
La storia si prestava in realtà assai bene a un film live action. Tanto che gran parte del cartoon finì per basarsi (a partire dai nomi di diversi personaggi) sulla pellicola Il ladro di Bagdad (1940). Eppure lo scopo dei registi fu subito ben chiaro: realizzare una versione del racconto di Aladino in un modo in cui la recitazione classica non potesse bastare. In cui insomma l’animazione potesse esprimersi senza freni. Il che si riflesse soprattutto nel personaggio del Genio.
Aladdin risultò dunque infine piuttosto diverso dal materiale letterario di partenza, in piccoli e grandi cambiamenti. Tanto per dirne alcuni, l’ambientazione venne spostata dal Catai a una città di fantasia del Medio Oriente; i desideri vennero limitati da infiniti a tre; il Gran Visir da semplice uomo egoista venne trasformato in un vero e proprio villain.
Sinossi
Quella raccontataci divenne a quel punto la storia del ladruncolo di strada Aladdin, che campa di espedienti nella città di Agrabah insieme alla scimmietta Abu. Il giovane a un certo punto incontra e si innamora della Principessa Jasmine, figlia del Sultano. E finisce per recuperare una lampada magica per conto del malvagio Gran Visir Jafar. I piani di quest’ultimo non andranno tuttavia come previsto, e Aladdin terrà per sé la lampada evocando il Genio che vi abita all’interno, il quale metterà a sua disposizione tre desideri. Jafar non rimarrà però a osservare impassibile la nuova buona sorte di Aladdin.
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Libertà e identità
Nonostante siamo di fronte a una fiaba ambientata in un tempo imprecisato, l’enorme successo riscosso da Aladdin tanto al botteghino quanto dalla critica, è dovuto al suo calarsi nel presente, come mai prima un cartoon Disney aveva osato fare in tal modo. Ma anche al raccontare attraverso i suoi personaggi principali importanti valori, come l’aspirazione alla libertà.
Tanto Aladdin quanto Jasmine e il Genio, si sentono intrappolati in una vita “impostagli” che non amano. Una prigionia mentale prima che fisica, resa innanzitutto visivamente ricorrendo a gabbie, sbarre e spazi ristretti. Ma anche una prigionia a cui i personaggi cercano di sfuggire tramite il travestimento, il che non porterà loro fortuna, sottolineando di conseguenza il valore della propria identità.
Protagonisti non stereotipati
Ecco infatti che Aladdin si riscatta solo apparentemente tramite la lampada magica, mentre ciò che il personaggio rappresenta è il tipico “self made man” americano, che solo una volta smessa la maschera può vincere la partita e conquistare davvero il cuore della Principessa. Aladdin non è più lo stereotipo cartoon dell’eroe classico, attraente e tutto d’un pezzo e poco più. Fisicamente più minuto che prestante, dentro di sé cova insicurezze che solo grazie all’astuzia e all’audacia riesce ad affrontare, vincendo infine le difficoltà. Motivo che al tempo portò (insieme alla necessità di renderlo più “appetibile” per una principessa) l’animatore Glen Keane a ritrarlo non più ispirandosi a Michael J. Fox, bensì a un giovane Tom Cruise.
Un lavoro di profonda caratterizzazione eseguito non solo sul protagonista, ma anche sulla Principessa Jasmine. Per lei l’animatore Mark Henn trovò la sua principale fonte di ispirazione in una foto giovanile di sua sorella Beth. Jasmine non è solo l’oggetto del desiderio maschile, ma prima di tutto una persona consapevole di sé che vuol decidere da sola della sua vita e non attende certo che qualcuno la venga a salvare.
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Una fiaba calata nel presente
Come dicevamo, nonostante – da nome – i Classici Disney si pongano l’obiettivo di essere intramontabili, in Aladdin la contemporaneità affiora in maniera dirompente. Il che si riflette sul linguaggio e l’atteggiamento dei personaggi, ma anche e soprattutto nell’incredibile verve comica del Genio. Doppiato in originale da Robin Williams (in Italia da Gigi Proietti) che lavorò in gran parte improvvisando, il Genio con le sue mille trasformazioni e velocità è il trionfo dell’arte dell’animazione, il che lo rende tutt’oggi amato e indimenticabile. Il tono cabarettistico della sua parlantina inarrestabile viene anticipato all’inizio del film con la scena del mercante, anch’esso non a caso doppiato da Williams.
Ma è soprattutto con la sua fuoriuscita dalla lampada che il personaggio porta al cartoon una ventata di comicità senza freni in cui c’è spazio per battute yiddish (in un sottile sottotesto politico il Genio viene reso una sorta di ebreo che fa amicizia con l’arabo Aladdin), per camei di altri personaggi Disney e per quelli di personaggi reali dello spettacolo che, anche se per pochi secondi, appaiono nelle trasformazioni del Genio (vedi Arnold Schwarzenegger o Jack Nicholson).
Ma per ogni eroe da fiaba che si rispetti, non può mancare l’antagonista malvagio. Ecco allora che a contrastare i buoni spunta il perfido Jafar. Emblema dell’uomo mistificatore e assetato di potere, segna da sé la propria sconfitta proprio a causa di una megalomania senza freni. I tratti fisici di Jafar contrastano con quelli più morbidi degli altri personaggi, e non è un caso: il suo animatore Andreas Deja volle renderlo anche visivamente diverso dagli altri. A tratti comico e più diabolico che spaventoso, resta tra i più amati villain disneyani.
Agrabah
Tutti i personaggi di Aladdin, comprese le non poche spalle (la scimmia Abu, il tappeto volante, il pappagallo Iago) si muovono in un mondo arabo in cui a dominare nell’architettura e nei tratti fisici sono delle esagerate curve a S asimmetriche, che rimandano alle caratteristiche della calligrafia araba. Anche in questo caso, l’ispirazione viene dall’esterno. Ovvero dallo stile delle opere del caricaturista Al Hirschfeld, in cui gli angoli netti sono aboliti a favore della morbidezza.
Si possono inoltre riconoscere in Agrabah elementi dell’iraniana Isfahan, paese natale del supervisore Rasoul Azadani, con paesaggi caratterizzati da colori neutri come il giallo, a differenza degli azzurri e dei colori chiari utilizzati per i buoni e dei toni scuri come il rosso o il nero per i villain.
Come costruire un Classico
Utilizzando l’animazione computerizzata solo per pochi sporadici elementi (come per l’ingresso a forma di tigre della Caverna delle Meraviglie e la fuga da quest’ultima), nella storia raccontata in Aladdin non manca praticamente niente: il divertimento (sia a livello di narrazione che di animazione), la magia, l’avventura, il romanticismo. E, come da tradizione disneyana, musiche intramontabili. Firmate dal mitico Alan Menken con testi di Howard Ashman e, alla morte di quest’ultimo, di Tim Rice, si rifanno ai musical di Broadway. Le canzoni portano dunque avanti la narrazione, senza essere un mero commento musicale ai fatti. In un mix di musica mediorientale e jazz americano, lo score del film si aggiudicò i premi Oscar per la Migliore colonna sonora e la Migliore canzone (A Whole New World).
Nonostante le polemiche che colpirono la pellicola, quali alcune accuse di razzismo da parte della comunità araba, l’eredità di Aladdin è stata lunga e fruttuosa. Con due sequel direct-to-video (Il ritorno di Jafar e Aladdin e il re dei ladri), un film incentrato su Jasmine (Le magiche fiabe di Jasmine) e il più recente remake live action firmato Guy Ritchie, le Notti d’oriente non hanno ancora smesso di brillare tra noi.