La sirenetta: una fiaba sul desiderio di amore e libertà
Era il 1989 quando, su spinta propulsiva di una fiaba, veniva inaugurato un periodo nella storia dei Walt Disney Animation Studios che finì per segnare per quest’ultimi la ribalta critica e il successo commerciale nell’industria cinematografica dopo lunghi anni di crisi. Periodo durato fino al 1999 e a cui oggi si fa comunemente riferimento con la definizione di Rinascimento Disney. Quella fiaba era La sirenetta (The Little Mermaid), la prima ad essere nuovamente portata su grande schermo in 30 anni dopo il flop de La bella addormentata nel bosco del 1959.
In realtà, già nei primi anni ’40 Walt Disney in persona si interessò alla celebre e struggente Sirenetta opera nel 1836 dello scrittore danese Hans Christian Andersen, sviluppandone la storia per renderla il soggetto di uno dei suoi tanti progetti. L’interesse fu in Walt così sviluppato, che addirittura Kay Nielsen ne ideò dei bellissimi artwork perché fungessero da riferimento visivo.
Alla fine, tuttavia, non se ne fece più nulla. L’idea venne ripresa decenni dopo da John Musker e Ron Clements (Aladdin, Oceania), in cerca di un soggetto che potesse funzionare. E la decisione di rifarsi al passato per spingere gli Studios verso il nuovo, ripagò oltre ogni più rosea aspettativa i due registi e sceneggiatori del 28° Classico Disney. La sirenetta si classificò infatti come il primo lungometraggio animato a guadagnare oltre 100 milioni di dollari. Riscontrando consensi positivi sia da parte del pubblico che della critica.
Gli elementi di un successo
Il perché di un successo di tali proporzioni risiede innanzitutto nella scelta di cambiare il messaggio e mutare il finale drammatico della fiaba, per offrire invece un lieto fine. Se nella storia di Andersen la protagonista è attratta soprattutto dall’idea di ottenere un’anima immortale, nella versione disneyana si scelse piuttosto di raccontare un amore a prima vista.
Elementi “forti” della versione scritta originale, quali il fatto che la sirenetta perde non solo la voce ma anche la lingua, e il dolore provato nel camminare con le gambe umane come se i piedi fossero trapassati da mille coltelli, furono eliminati.
Ecco dunque che John Musker e Ron Clements hanno preferito raccontarci di Ariel. Una sirena dallo spirito libero che sogna di esplorare il mondo della superficie. Ariel che, dopo aver salvato da un naufragio il principe umano Eric ed essersene innamorata, stringe un patto con Ursula, la subdola strega del mare, che le dona delle gambe umane in cambio della sua voce per la durata di 3 giorni. Periodo entro il quale Ariel deve ottenere il bacio del vero amore da Eric, pena il ritorno negli abissi come sirena e l’eterna schiavitù presso Ursula.
Un musical in stile Broadway
Idea vincente fu la scelta di avvicinare La sirenetta a un musical in stile Broadway. Le splendide musiche di Alan Menken con testi di Howard Ashman (vincitore il primo agli Oscar 1990 per la Miglior colonna sonora e insieme al secondo per la Miglior canzone con Under the sea) non sono fini a se stesse. Ma raccontano e portano avanti la storia, fanno parte della narrazione.
Under the sea (In fondo al mar) fa proprio questo, su ritmi che ricordano la Giamaica. Così come Part Of Your World (Come vorrei) è la classica canzone da musical “del vorrei”, che fa capire su cosa verterà il film e grazie alla quale il pubblico si identifica con il personaggio che la canta. In questo caso con Ariel e il suo desiderio di vivere in superficie.
Fondamentale per il successo del film fu anche la caratterizzazione dei personaggi. Talmente ben delineati da fissarli bene impressi nella mente del pubblico, dove tutt’oggi risiedono. Dal granchio giamaicano Sebastian, diviso tra la necessità di obbedire agli ordini e alla legge del cuore. Alla perfida eppure a suo modo sensuale Ursula, il cui brano Poor Unfortunate Souls trascina con malìa nel suo ritmo rendendo tutti gli spettatori un po’ delle sperdute ma affascinate Ariel.
Quella dei personaggi si dimostra oggi come allora una recitazione realistica e convincente. Grazie anche alla ripresa di attori e attrici dal vivo come materiale di riferimento poi sfruttato dall’incredibile animazione, immergendo chi guarda con verosimiglianza nel mondo sottomarino della protagonista.
Un film da vedere e rivedere
Ecco dunque che attraverso l’insieme di tutti questi elementi La sirenetta ci racconta una bellissima storia d’amore. Mettendo in campo temi quali la sofferenza e il sacrificio per seguire i dettami del proprio cuore. E la voglia di donare tutto di sé pur di poter stare assieme alla persona amata. Temi struggenti e commoventi che questa trasposizione disneyana, pur nella sua versione semplificata e animata, riesce a rendere con convinzione. Ma al tempo stesso il film ci mostra di più, ovvero la storia di un rapporto padre-figlia.
Ariel è infatti sì una creatura del mare. Ma anche semplicemente un’adolescente un po’ ribelle in cerca di libertà e identità, nonostante i dettami protettivi del genitore. Tra un sospiro malinconico e un sorriso affettuoso, vediamo nel commovente finale Re Tritone dare infine la sua benedizione all’amata figlia. Così come il suo addio. Un “sacrificio” paterno fatto con convinzione pur di vedere quella che sarà sempre la sua sirenetta felice nella dimensione che ella davvero sente propria, “Lassù, fuori dal mar”.
Un film da conservare gelosamente in videoteca La sirenetta targata Disney, da passare di generazione in generazione. E che continua a invecchiare senza mostrare la sua età, ma anzi facendo rimpiangere sempre più gli anni dell’animazione tradizionale presso gli Studios di Topolino.