Notti Magiche: l’onanismo cinematografico di Paolo Virzì

Notti Magiche è un film diretto da Paolo Virzì (Ovosodo, Ella e John) e scritto dallo stesso regista insieme a Francesca Archibugi e Francesco Piccolo che chiuse la 13^ edizione della Festa del Cinema di Roma. Protagonisti della vicenda sono i tre giovani Irene Vetere, Mauro Lamantia e Giovanni Toscano. A fianco a loro troviamo: Giancarlo Giannini, Giulio Scarpati, Marina Rocco, Paolo Sassanelli, Eugenio Marinelli, Emanuele Salce e Roberto Herlitzka.
3 luglio 1990, una data che i tifosi di calcio italiani non dimenticheranno mai. È infatti la data della semifinale mondiale Italia-Argentina. Quella stessa notte una macchina precipita nel Tevere. Al suo interno vi è il corpo senza vita di Leandro Saponaro, noto produttore cinematografico. I principali sospettati dell’omicidio sono Eugenia Malaspina, Antonino Scardia e Luciano Ambrogi. I tre giovani aspiranti sceneggiatori sono gli ultimi ad aver visto vivo Saponaro, vengono così condotti al comando dei Carabinieri per ripercorrere la loro avventura nel mondo del cinema italiano.
Onanismo cinematografico
Una metafora onanistica sul mondo del cinema italiano. Non c’è modo migliore per descrivere Notti Magiche, ultima fatica registica del toscano Paolo Virzì. Il suo nuovo film infatti è una lunga, lenta, malinconica, cinica e divertita riflessione sul mondo della settima arte in Italia. Un ritratto che mette in evidenza – o almeno è questo l’intento – la grandezza che tale arte è riuscita a raggiungere grazie a grandi registi, attori e produttori ma anche la miseria in cui è precipitato, tra film di serie b ed un sistema che andrebbe smantellato dall’interno.
Un ragionamento con il quale è difficile essere in disaccordo, soprattutto per chi un minimo tale mondo lo conosce. Un mondo in cui alla fine l’amicizia è più che altro conoscenza o sopportazione, dove ognuno pensa a sé stesso perché chi lavora in questo mondo è uno str**zo e dove i giovani vengono semplicemente sfruttati, o meglio schiavizzati.
Il tutto viene mostrato attraverso la vita di tre giovani aspiranti sceneggiatori, finalisti del Premio Solinas la cui vita verrà sconvolta nel giro di un mese. Per riuscire ad esplicare al meglio la sua tesi, Virzì li segue senza perderli un attimo di vista, aprendo allo spettatore le porte di un mondo fatto di promesse mai mantenute, feste, raggiri, incontri inaspettati, false speranze.
Doppio omicidio
Un titolo, Notti Magiche, che si presta a più chiavi di lettura. Ovviamente è immediato il rimando all’estate del 1990, quello del mondiale in Italia in cui una Nazione intera ha sognato di vedere la propria rappresentazione calcistica vincere la competizione internazionale. Un sogno interrotto bruscamente a pochi passi dalla meta. Così come altrettanto duramente è stato interrotto il sogno dei tre giovani protagonisti. Così come è innegabile che si riferisca allo splendore del cinema italiano degli anni passati, una luce che ormai si è purtroppo affievolita.
Notti che nonostante ormai non ci siano e che per quanto non siano finite come sperato, rimangono comunque magiche perché capaci di suscitare emozioni uniche ed indimenticabili. Emozioni che non è detto non si possano ritrovare, anzi, ma che purtroppo da regola si sono trasformate in eccezione. Perché i b-movie, le commedie spicciole e simili hanno ormai soppiantato i grandi del cinema.
Ecco quindi che il delitto da risolvere è doppio. Se quello dello squattrinato produttore interpretato da Giancarlo Giannini è esplicito, e che per quanto misterioso non è irrisolvibile, ce n’è uno nascosto e di più difficile soluzione: chi ha ucciso il cinema italiano? Una domanda a cui non c’è risposta, o meglio non la si vuole trovare, perché infondo siamo tutti un po’ colpevoli.
Il troppo stroppia
Notti Magiche è un film che purtroppo non riesce a fare pienamente il suo lavoro. Perché se risulta interessante la rappresentazione e la critica al cinema, il film ha nella sceneggiatura e nei suoi tre protagonisti i principali difetti. Una scrittura che mette tanta, troppa, al carne al fuoco che alla fine risulta difficile da gestire e che si accartoccia e si perde in sé stessa, tra omaggi, scherni e metacinematografia.
Come se non bastasse Eugenia, Luciano e Antonino sono personaggi insopportabili. Tre persone con cui sarebbe difficile trascorre più di qualche minuto se incontrate nella vita reale . Tre personaggi con in cui è impossibile riconoscersi e per cui simpatizzare, a meno che non siate una figlia di papà depressa che abusa di stupefacenti, il classico bischero toscano ossessionato dalle donne (ma che va sempre in bianco) o un’irritante secchione che sa tutto e corregge chiunque.
Due ore che trascorrono tra riunioni, ristoranti in cui ci si manda a quel paese e allo stesso tempo ci si adula parlando di cinema, uffici infiniti, set e premiazioni. A fare da cornice una Roma traffichina e mai silenziosa. Una lunga, lenta e verbosa dichiarazione d’amore al cinema e al contempo un’amara critica, che però non riesce del tutto a catturare l’attenzione. Occasione mancata.