Lady Bird: il delicato coming of age di Greta Gerwig
Lady Bird (Saoirse Ronan) è un’ambiziosa studentessa all’ultimo anno di un liceo cattolico della periferia di Sacramento. Ha i capelli tinti di rosso, vive “dalla parte sbagliata della ferrovia”, sogna di trasferirsi in una città della East Coast per il college. Ha una dolcissima migliore amica di nome Julie (Beanie Feldstein), un fratello maggiore adottato, un padre che ha da poco perso il lavoro (Tracy Letts) e una madre ipercritica (Laurie Metcalf). Si iscrive a un corso di teatro, si innamora più volte (di Lucas Hedges e Timothée Chalamet), cambia amicizie. Il vero nome di Lady Bird è Christine McPherson e i suoi sforzi sono tutti concentrati per crearsi una vita di cui essere realmente soddisfatta e che sia frutto delle sue scelte, a partire dal proprio nome.
Un piccolo grande caso
L’opera seconda (la prima in solitaria) da regista dell’attrice/sceneggiatrice Greta Gerwig (Mistress America) è stato uno dei piccoli grandi casi della stagione cinematografica statunitense 2017. Lady Bird ha conquistato praticamente tutti. Per un po’ ha stabilito un nuovo record sul sito Rotten Tomatoes detenendo il 100% delle recensioni professionali positive. Risulta nelle classifiche dei migliori film dell’anno di riviste quali Variety, Time o Sight & Sound. Tra le numerose nomination che gli sono piovute addosso svettano le cinque candidature agli Oscar 2018 e i due Golden Globes (su quattro) assegnati alla protagonista Saoirse Ronan e alla pellicola come Miglior film commedia o musicale.
E d’altronde è un film che regala sorrisi e tenerezza fin dalla prima sequenza Lady Bird. Come da titolo, il film segue in tutto e per tutto le mosse della sua giovane protagonista. Senza raccontarci una “storia” se non quella della stessa Christine, presa in un momento fondamentale della sua vita personale e scolastica. L’anno di ambientazione è l’estate del 2002, fino a quella del 2003. Siamo dunque in un’America post 11 settembre in cui la crisi si fa sentire e bisogna tenere duro.
Crescere che fatica
È un classico coming of age quello che Greta Gerwig – anche qui autrice della sceneggiatura – mette per immagini, pur con un evidente tocco indie. Un racconto di formazione per il quale attinge tanto da note pellicole del genere, come i film di John Huges (vedi Bella in rosa), quanto in parte dalla sua autobiografia, a partire dalla scelta di Sacramento.
Osserviamo Lady Bird – per la cui deliziosa interpretazione non possiamo che ringraziare Saoirse Ronan (Brooklyn), capelli tinti e (vera) acne da teenager in evidenza – vivere quei momenti al tempo stesso difficili, terribili, pieni di dubbi ma anche gioiosi e ricchi di scoperte che caratterizzano il passaggio verso l’età adulta. Quando un sorriso dal ragazzo che ci piace può illuminare la giornata, fare “le cose dei grandi” sembra essere il maggior traguardo della vita, o la scelta del college determinare da subito chi saremo.
Christine ha un film e idee tutte sue in testa, che la portano a sognare come un’eroina romantica ma anche a sbagliare clamorosamente. Un personaggio di cui la Ronan riesce così bene a vestire i panni, tanto da farcela sentire vicina proprio perché vera nei suoi goffi e teneri tentativi di capire se stessa e quale sia il suo posto nel mondo.
Un album dei ricordi
Greta Gerwig racconta tutto ciò – le cose piccole della vita che sembrano immense e quelle grandi al contrario minimali – con sensibilità di sguardo ed elegante ironia, confezionando a partire dalla sceneggiatura un film che regala momenti di divertimento quanto di sincera commozione.
La fotografia di Sam Levy avvolge Sacramento e i personaggi come nei tepori di un ricordo, quasi fossimo di fronte a degli scatti vintage. E proprio come se ci trovassimo in un album dei ricordi da sfogliare, il montaggio si fa fluido nel narrare con gran naturalezza, giorno dopo giorno, l’anno di Lady Bird. Le sue conquiste, le sue speranze. E soprattutto il rapporto con la madre Marion, splendidamente portata su schermo da Laurie Metcalf e che ci ricorda che a volte chi più ci sgrida è proprio chi più ci vuol bene.
Il rischio è che qualcuno, a seguito dell’enorme fama positiva che sta sponsorizzando il film, rimanga invece deluso a fine visione. È vero che la pellicola non ha dalla sua grande originalità a livello di trama né uno stile eccentrico o personale a caratterizzarlo. Eppure è anche difficile non volere bene a un’opera che racconta con grazia e attenzione, senza ombra di furbo sentimentalismo, quanto è difficile crescere e accettarsi. A partire dal nome che portiamo e che altri hanno scelto per noi.