L’uomo che uccise Don Chisciotte: la magnifica ossessione di Terry Gilliam
Era il 1989 quando Terry Gilliam lesse per la prima volta Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. Una lettura folgorante, che fece nascere nel regista di Brazil il desiderio di trarne in qualche modo un adattamento cinematografico. Da allora, per circa 30 anni, Gilliam si è trovato legato a doppio filo al celebre romanzo spagnolo. Una vicenda artistica la sua caratterizzata da una quantità impensabile di sfortuna, ma anche ammirevole tenacia e passione. Le prime riprese della versione di Gilliam del Don Chisciotte iniziarono infatti nell’ormai lontano 2000, poi interrotte a seguito di una lunga serie di contrattempi e problemi finanziari.
Negli anni successivi, quando più volte l’ex Monty Python tentò di riprendere il progetto, si frapposero altri disperanti impedimenti di varia natura. Fino a quando nel 2017 finalmente la produzione venne completata con successo, con una nuova sceneggiatura e nuovi protagonisti. La vicenda non finisce però qui. Le traversie subite da Terry Gilliam sono infatti continuate anche a riprese ultimate, a causa dello scoppio di una causa legale tra il regista e il produttore Paulo Branco. Il che non ha consentito al film di concorrere per la Palma d’oro al 71º Festival di Cannes, dove venne presentato fuori concorso. Eppure, nonostante tutto e più forte dell’aura “maudit” che l’ha avvolto in questi tre decenni, L’uomo che uccise Don Chisciotte è stato liberato dal suo limbo ed è uscito nei cinema nel 2018.
Sinossi
La sceneggiatura finale del film racconta di Toby (Adam Driver, 65: Fuga dalla Terra), cinico ed egocentrico regista pubblicitario, che si trova in Spagna per le riprese di uno spot ispirato al Don Chisciotte. Dieci anni prima l’uomo aveva girato proprio in quei luoghi un adattamento del romanzo di Cervantes come esame di diploma della scuola di cinema. Con suo sconcerto Toby finisce per rendersi conto che gli interpreti di quel film – non professionisti ma gente del posto – sono ancora condizionati da quell’esperienza.
In particolare Javier (Jonathan Pryce), il vecchio calzolaio che rivestì i panni di Don Chisciotte e che da allora è convinto di essere davvero l’eroico cavaliere errante. Per una serie di incidenti Toby finirà per accompagnare quest’ultimo in giro per le campagne in quanto da lui scambiato per il suo fedele scudiero Sancho Panza.
Il potere dei sogni
Una baraonda di idee, suggestioni, immagini. L’uomo che uccise Don Chisciotte è come il suo autore: visionario e un po’ caotico, fantasticamente coinvolgente come confusionario, non esente da difetti eppure perfetto così. Abbandonato l’afflato epico con tanto di vero viaggio nel tempo che avrebbe dovuto inizialmente possedere, il film mette in primo piano il potere della fantasia, così come le lotte titaniche che si è costretti ad affrontare nel mondo e dentro di sé. “È un film sui sogni e sul loro potere di trasformare il mondo” ha dichiarato Gilliam. E come non trovare in ciò una forte componente autobiografica?
Ecco allora che Don Chisciotte finisce per essere un po’ lo stesso Gilliam in una inevitabile lettura metacinematografica. Lui che lotta contro i mulini a vento (il sistema hollywoodiano?) affinché la fantasia e il suo enorme potere possano trionfare sulle forze della ragione. Un folle – o più gentilmente un sognatore – per cui i sogni sono qualcosa di indispensabile al vivere esattamente come l’aria che si respira. Sogni in cui si crede fermamente, che cercano di sopravvivere alla materialità della vita moderna, e che non possono semplicemente essere venduti per il vil denaro come fa invece il pubblicitario Toby.
Ma Gilliam sembra aver messo un po’ di sé anche in quest’ultimo, cineasta che a distanza di tempo arriva a rendersi conto dell’importanza delle conseguenze della sua creazione filmica sulla gente che vi prese parte. Tanto da accettare suo malgrado di lasciarsi andare a sua volta alla follia e “diventare” Sancho Panza per assecondare il desiderio di eroismo di Don Chisciotte.
Quixote vive
Le scenografie di Benjamín Fernández che strizzano l’occhio a Goya e Doré, i costumi di Lena Mossum (quello di Don Chisciotte è il medesimo – riadattato – che avrebbe dovuto indossare Jean Rochefort nel film del 2000), la fotografia di Nicola Pecorini, le musiche di Roque Baños contribuiscono a creare un universo fantasmagorico, insieme Altro e ancorato all’oggi. In cui Toby e Don Chisciotte vagano come sospesi tra il sonno e la veglia. E in cui l’immaginario e il reale rischiano di intrecciarsi senza più districarsi.
Del mondo del classico Don Chisciotte viene mantenuta da Gilliam l’essenza, pur aggiungendo un ulteriore grado di follia alla figura del vecchio cavaliere errante ed eliminando l’aura epico-cavalleresca per girare quella che risulta una commedia venata di romanticismo sorprendentemente divertente.
Dalle mille tribolazioni e cambiamenti subiti dal progetto, L’uomo che uccise Don Chisciotte ha acquisito due interpreti eccezionali. Adam Driver e Jonathan Pryce risultano brillanti e impeccabili nei rispettivi ruoli, capaci di assecondare l’estro di Gilliam con slancio e convinzione.
Non sapremo mai come sarebbe stato il film nella sua prima versione fallita. Il piccolo grande “miracolo” della sua realizzazione si è però compiuto. Il Don Chisciotte di Terry Gilliam è vivo e vegeto, straripante di idee (anche troppe) ma soprattutto della perseveranza appassionata del suo autore, che per sua ammissione nelle cose ragionevoli non crede. Se amate la Settima Arte, nella sua grandezza ma anche nella sua imperfezione, recuperate il film e brindate a questo folle sognatore.