Blackhat: il thriller informatico di Michael Mann

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Una  pericolosa rete di criminalità informatica che opera a livello mondiale attacca prima una centrale nucleare ad Hong Kong, facendo esplodere le turbine di raffreddamento, e poi la bora di Chicago facendo salire alle stelle il prezzo della soia. Non senza riluttanza, le autorità cinesi ed americani collaboreranno per trovare il responsabile e chiederanno anche l’aiuto dell’hacker Nick Hathaway, che sta scontando una lunga pena in una prigione federale nonché autore ai tempi del college del virus che i misteriosi criminali hanno usato per i loro attacchi.

Questa la trama di Blackhat, nuovo film diretto e prodotto da Michael Mann con protagonisti Chris Hemsworth, Tang Wei, Viola Davis, Ritchie Coster, Holt McCallany, John Ortiz, Yorick van Wageningen e Wang Leehom.

Thriller informatico ad alta tensione

Chris Hemsworth e Tang Wei in Blackhat

Il film, scritto da Morgan Davis Foehl, è un thriller informatico che presenta tutti gli stereotipi del genere, a partire dal protagonista che è un criminale che sta scontando una condanna in un prigione federale per aver commesso reati in stile Robin Hood (ha sottratto soldi alle banche per darle a cittadini bisognosi), ai federali contrari al suo ingaggio ma che poi si faranno conquistare dal suo fascino, alla storia d’amore fino ad arrivare ad un nemico tanto potente quanto invisibile.

Nonostante ciò Blackhat è una pellicola avvincente che porta sullo schermo un’argomento più che attuale – la sicurezza informatica e tutto ciò che la riguarda – e che mette in evidenza come qualsiasi struttura con un sistema informatico sia vulnerabile ad attacchi che la potrebbero distruggere. Una pellicola che si basa più sugli assordanti silenzi, sulla gestualità e sugli sguardi degli attori che sui dialoghi, dove i personaggi hanno una moralità di granito e che restano fedeli a se stessi, non rinnegando mai le scelte fatte.

Una storia a due velocità

Chris Hemsworth e Tang Wei in Blackhat

Se da una parte Blackhat ha una storia coinvolgente e sviluppata in stile matrioska – ogni volta che si scopre qualcosa ci si ritrova poi in un nuovo punto di partenza – dall’altra ha un andamento da montagne russe, infatti il film è un continuo susseguirsi di momenti di pura azione e di calma piatta, un andamento che lo rende “difficile” da seguire e dove le due ore e quindici di lunghezza si avvertono dal primo all’ultimo minuto. Per non parlare del cambio di genere nell’ultima mezz’ora, in cui la pellicola si trasforma da thriller a film di vendetta.

Girato tra Los Angeles, Hong Kong, Malesia e Giacarta, Mann porta sul grande schermo il sole ed il calore della California e il caos e le luci al neon dell’Oriente, mostrando così quelli che sono i veri colori delle metropoli.

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Emanuele Bianchi

Appassionato di cinema, fotografia, teatro e musica sin da piccolo decide di farne il suo lavoro. Miyazakiano convinto, tanto da incentrare la sua tesi sul suo cinema, e divoratore di anime tanto da volere Eikichi Onizuka come professore al liceo, è uno Jedi come suo padre prima di lui e “nato pronto” e sì, anche un inguaribile nerd (pollice verso per coloro che non colgono le citazioni). Laureato in cinema presso il DAMS di Roma 3 e diplomato in fotografia presso il CST, negli anni ho collaborato con varie testate web di cinema. Giornalista pubblicista iscritto all'albo. Sempre in movimento, perennemente in ritardo. Co-Fondatore di PopCorn Society.

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