Aladdin: le fioche notti d’oriente di Guy Ritchie
Sono passati 27 anni dall’ultima volta che le notti d’oriente disneyane hanno brillato al cinema. Era infatti il 1992 quando i registi Ron Clements e John Musker scelsero – dopo il grande successo riscosso da La sirenetta – di dedicarsi ad Aladdin tra i soggetti loro offerti. Quello che divenne poi il 31° Classico Disney fu un grande successo, con un incasso di oltre 500 milioni di dollari in tutto il mondo a fronte di un budget di 28 milioni. Il pubblico del tempo veniva infatti catapultato con energia e creatività in un mondo sì da fiaba ma ricco di riferimenti alla contemporaneità, con protagonisti un “principe” lontano dai classici stereotipi, una principessa che ben sapeva il fatto suo e un comprimario così potente e indimenticabile quale era il Genio, da divenire quasi un co-protagonista a dispetto dagli effettivi minuti di presenza sul grande schermo.
Aggiornare la fiaba
Niente da stupirsi quindi che la Disney, sulla scia inesorabile dei rifacimenti in live action dei suoi classici animati, abbia deciso di dedicare proprio ad Aladdin un remake con attori in carne e ossa. Dopotutto, lo stesso cartoon si ispirava – e non poco – non solo al racconto di Aladino e la lampada meravigliosa contenuto ne Le mille e una notte, ma anche al film del 1940 Il ladro di Bagdad.
E non stupisce nemmeno la scelta di affidare la regia del film a Guy Ritchie, noto soprattutto come regista di dinamici thriller urbani e dei due ipercinetici film di Sherlock Holmes con Robert Downey Jr., probabilmente in cerca di “riscatto” o impiego dopo la delusione di King Arthur – Il potere della spada. Per i due protagonisti Aladdin e Jasmine si è scelto di puntare su due nomi non troppo noti quali quelli di Mena Massoud e Naomi Scott. Ma la scelta più difficile – ovvero come rimpiazzare l’indimenticabile Robin Williams come interprete (vocale) del Genio – è ricaduta su Will Smith, coadiuvato da una buona dose di CGI.
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Sinossi
La trama del film, sceneggiato dallo stesso Guy Ritchie insieme a John August, segue abbastanza fedelmente quella del cartoon, con sporadiche modifiche e aggiornamenti (vedi ad esempio la new entry Dalia, dama di compagnia della Principessa, interpretata da Nasim Pedrad).
Il perfido Gran visir Jafar mira a esercitare il suo potere sulla città di Agrabah e i regni circostanti grazie all’ausilio di una lampada magica che contiene un Genio capace di esaudire tre desideri. Cercando aiuto per procurarsela nel ladruncolo di strada Aladdin, sarà tuttavia quest’ultimo a entrare in possesso della lampada. I suoi desideri saranno guidati non dalla sete di potere bensì mirati alla conquista della principessa Jasmine, figlia del Sultano, che da parte sua sente tutte le ristrettezze di una vita di palazzo che relega in secondo piano le donne.
Pro…
Rilette in chiave un po’ bollywoodiana un po’ sotto il controllo dell’imperante (e alla lunga stancante) politicamente corretto, le avventure mirabolanti del nuovo Aladdin possono vantare una serie di punti a loro favore. Il film riesce a trovare un suo felice equilibrio tra la fedeltà al film d’animazione e la reinvenzione, accontentando tanto chi dopotutto vuol vedere non un Aladdin qualsiasi bensì quello della Disney, e chi non desidera un puro copia-incolla.
I tre principali protagonisti si dimostrano bravi e in parte (a farsi ricordare sono soprattutto Naomi Scott e Will Smith), la reinvenzione visiva del mondo da fiaba orientale si conferma come sempre nel caso della Disney molto curata, tra le scenografie di Gemma Jackson che richiamano le tradizioni arabe e gli sfavillanti costumi reinventati da Michael Wilkinson. Le musiche di Alan Menken rimangono splendide, con riarrangiamenti talvolta riusciti (Il Principe Ali), talvolta meno (Il mondo è mio).
… e contro
Tuttavia, lontanissimo dall’essere un film perfetto, l’Aladdin di Guy Ritchie soffre anche di una serie di problematiche. Risulta innanzitutto mal digeribile la scelta dell’interprete del perfido Jafar, ricaduta su Marwan Kenzari, decisamente più giovane e belloccio del suo corrispettivo animato. Non solo lontano dal giusto physique du rôle, Kenzari si dimostra anche un interprete non all’altezza, sottotono e privo di quella verve maligna che ha reso grandi molti villain disneyani. Una scelta di casting sbagliata su tutti i fronti che va a ledere buona parte della riuscita del film. Ma i problemi non finiscono qui.
Se l’Aladdin animato era puro dinamismo, follia ed energia, il corrispettivo live action di Guy Ritchie ne sembra la riproposizione sì abbastanza fedele, ma fiacca. A partire da alcune scelte di sceneggiatura, come quella di non preparare con i dovuti tempi narrativi la presentazione di Aladdin e Jasmine, ma girando il tutto con una fretta ingiustificata che come conseguenza lascia dormienti le emozioni.
A risentirne in grossa parte è anche purtroppo il personaggio del Genio. Non che Will Smith non sia in parte o spesso divertente, soprattutto nella versione umana, in cui ci mostra un po’ una riproposizione fiabesca del suo Willy, il principe di Bel-Air. Ma quel senso di trascinante stupore che l’animazione era stata in grado di sprigionare con le numerose e veloci trasformazioni del Genio nel cartoon del 1992, viene ora purtroppo a perdersi, e non c’è CGI che venga in aiuto.
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Scelte discutibili
Altro tasto dolente, il “femminismo” (se così vogliamo chiamarlo) dell’era #metoo, che va a inquinare anche una storia che non ne aveva affatto bisogno. Il personaggio di Jasmine non è mai stato quello della classica principessa che aspetta buona buona che il suo principe la venga a salvare o sposare. Nel cartoon originale Jasmine si distingueva per la sua personalità molto forte, per la sua voglia di scegliere il proprio destino senza imposizioni. In questo live action si è invece voluta calcare la mano, rendendola desiderosa non solo di libertà, ma anche della possibilità di guidare il proprio popolo, in una forzatura dei ruoli che fa un po’ sorridere.
Se un Classico Disney è tale per la sua intramontabilità e inalterato valore nel tempo, questa nuova versione di Aladdin, dopo aver intrattenuto comunque dignitosamente per due ore, non riuscirà probabilmente a guadagnarsi un posto sullo scaffale della memorabilità. Una visione – per quanto tutto sommato piacevole – che più che di iniziare da capo la visione, fa venire voglia di riguardarsi il Classico Disney del 1992 e la sua impareggiabile animazione.