La storia della principessa splendente: la commovente poesia di Isao Takahata
Film animato dello Studio Ghibli del 2013 candidato ai Premi Oscar 2015, La storia della principessa splendente porta la poesia del celebre studio d’animazione nipponico a livelli altissimi, e lo fa con i mezzi più semplici e per questo più toccanti.
Ispirandosi a Taketori monogatari (Il racconto di un tagliabambù), molto popolare tra i racconti del Sol Levante, il regista Isao Takahata (fondatore con Hayao Miyazaki nel 1985 dello Studio Ghibli e alla regia di serie tv quali Heidi o Anna dai capelli rossi, oltre che di egregi lungometraggi quali Una tomba per le lucciole o Pom Poko) riesce a portare sul grande schermo un progetto inseguito per decenni e che sembrava incredibilmente arduo riuscisse infine a prendere vita.
Otto lunghi anni di lavorazione, tra progettazione e ultimazione del film, hanno infine conseguito come risultato uno dei migliori prodotti dello Studio. Un concentrato di delicata bellezza e struggente sentimento, che non può non smuovere nel profondo.
Quelle narrate sono le vicende di Kaguya, minuscola creatura trovata in una canna di bambù da un vecchio tagliatore. Accolta e tirata su da quest’ultimo insieme alla moglie, la piccola cresce a vista d’occhio, affascinando quanti entrano in contatto con lei. Fino a quando diventa una splendida giovane donna. Trasferitasi con i genitori in città per condurre la vita regale che il padre adottivo immagina sia quella adatta a lei, il suo cuore comincerà a soffrire…
L’animazione al servizio di un messaggio
Ciò che immediatamente colpisce de La storia della principessa splendente è la scelta dello stile d’animazione adottato: tradizionale e a mano, dalle linee evanescenti e quasi abbozzate, tinteggiate di morbidi e tenui colori pastello all’acquerello. Una decisione che a visione ultimata si rivela essere la migliore possibile in relazione alla tematica del film.
Come anche in tutte le opere di Miyazaki, il messaggio ecologista è infatti fortissimo nella pellicola di Takahata. Un invito ad abbracciare la bellezza di “uccelli, insetti, animali, erba, alberi, fiori” – come elenca Warabe Uta, una delle canzoni presenti nel film – per raggiungere la totale armonia con la Terra e il suo creato. In cui il tempo è scandito dall’alternarsi delle stagioni, il sole soffia il suo respiro vitale, l’acqua infonde energia.
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Tra felicità e dolore
La vita della Principessa Splendente passa da un’ideale età dell’oro all’inevitabile confronto con la crescita e la delusione dei propri desideri mancati. In un dilemma interiore tra la speranza di felicità covata per lei dalle figure genitoriali, e le aspirazioni del suo cuore che è rimasto lì, tra boschi, ruscelli e case frugali in cui vivere una vita fatta di semplici ma nobili attività.
Siamo di fronte a una sorta di anelito di ritorno alle origini, personali e vitali, che coinvolge dunque anche l’animazione. La Principessa del titolo ama ed è riamata. In maniera così pura e totale da far perdere di vista la sua discendenza non di questo mondo, per lei croce e delizia.
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Il respiro della libertà
Takahata con sensibilità riesce a tratteggiare in maniera realistica e convincente la psicologia dei personaggi che animano La storia della principessa splendente. Restituendoci una Principessa da una risata così piena da scaldare il cuore. Così come il suo pianto è così profondo e sentito da dolére, per quella che risulta una fiaba venata di realtà.
Nell’ultima corsa a perdifiato tra le valli, gli specchi d’acqua e la natura tutta, la Principessa – tornata “Gemma di bambù” – vive a pieno il respiro di una libertà impossibile. Per un istante prezioso riesce ad andare oltre le disillusioni e i rimpianti, portando con sé anche noi in quel volo di pura gioia. Ammonendoci ad amare a pieni occhi e polmoni la nostra Terra, così come a prendere coraggio e consapevolezza, per fare altrettanto con le nostre vite.